[Premessa: Ciò che è scritto rappresenta una riflessione personale, frutto di un percorso di formazione nel campo dell’urbanistica e della partecipazione. Il tema è lo spazio pubblico. L’intento è quello di aprire un dibattito e una discussione sul modello di città a cui si aspira, di cui si parla troppo poco. Alcuni contenuti sono tratti dalla mia tesi di Master in progettazione e gestione di politiche e processi partecipativi, dal titolo “Società e spazio pubblico tra funzionalismo e complessità”, Relatore Mariano Sartore, Correlatrice Chiara Mazzoleni]
Lo spazio pubblico si è sempre evoluto insieme alla società, cambiando forma e funzione con l’evolversi dei modi di vivere e dei sistemi politici. Per capire davvero cosa significhi oggi, vale la pena fare un passo indietro e riscoprirne il significato originario.
Immaginiamo di passeggiare nell'Agorà di Atene, nel pieno della sua vitalità. Qui, tra colonne, templi e portici, i cittadini si incontravano, discutevano, commerciavano e prendevano decisioni. Lo spazio pubblico nell'antica Grecia era il cuore pulsante della città, il luogo dove la vita politica e sociale si intrecciava in un unico grande teatro della cittadinanza. Essere parte della polis non significava solo abitare una città, ma partecipare attivamente alla sua vita collettiva, contribuire alle decisioni e, soprattutto, essere visti e riconosciuti dagli altri membri della comunità. La piazza era il fulcro della città, rappresentava la sua civiltà e accoglieva le dinamiche commerciali, sociali, politiche, religiose.
Con il Medioevo, il concetto di spazio pubblico cambiò forma, ma non perse importanza.
Le grandi piazze medievali diventarono luoghi nevralgici della vita cittadina: qui si amministrava la giustizia, si proclamavano editti, si svolgevano mercati, feste e processioni. Erano più di una e ognuna di esse aveva un significato simbolico per la sua cittadinanza: la piazza principale, quella del mercato, quella della chiesa, dello Stato, monumentale…
Le città erano più compatte e la vita pubblica si svolgeva all'ombra di torri e campanili, in un'architettura che raccontava il potere dei Comuni o delle Signorie.
In entrambi i casi — nell’antichità e nel Medioevo — lo spazio pubblico veniva inteso, in linea generale, come ciò che stava al di fuori della sfera domestica. Erano pubbliche le strade e le piazze, dove (grazie alla viva economia locale, non ancora globalizzata) le persone si riversavano, acquistavano, si incontravano, parlavano…strade e piazze vive, gremite di gente[1].
Certo, a voler essere onesti, non si può dire che questi spazi fossero pienamente democratici: “l’agorà greca era caratterizzata tanto dal libero accesso dei “cittadini” quanto dall’esclusione di donne e schiavi (che formavano la maggior parte della popolazione). Una esclusione di segno opposto è riscontrabile nel mercato medievale, dove gli “esclusi” erano i signori feudali (che se vi venivano, ne rimanevano separati dal corteggio di servi che li circondava).”[2]
Tuttavia l’aspetto interessante è la vita quotidiana che animava lo spazio pubblico ed il suo il ruolo politico. Pongo l’accento su questi aspetti perché oggi spesso gli spazi privati ad uso pubblico prendono il posto dello spazio aperto, come ad esempio i centri commerciali, luoghi di profitto non pensati in un progetto di contesto, ma come organismi a funzionamento autonomo (si pensi al complesso dell’Ipercoop a Ponte San Giovanni, un’ “isola a sé stante”), che non godono di alcuna riconoscibilità e non costituiscono elemento di identità locale, rendendo il mondo tutto un po’ più uguale e legano la socialità all’acquisto. Ma anche di questo parleremo meglio in seguito.
Come emerge da quanto è stato detto, c'è un altro aspetto fondamentale che caratterizza le città dell'antichità e del Medioevo: la bellezza, con la sua prospettiva di durata eterna. Non era solo una questione estetica, ma un simbolo di civiltà, perché tale bellezza dimostrava la consistenza e l’importanza della civiltà che abitava quella città[3].
Atene costruiva templi maestosi perché incarnavano i valori della sua democrazia; Firenze e Siena gareggiavano nella costruzione di palazzi e piazze per dimostrare la loro potenza.
La competizione tra città non si giocava quindi solo sul piano economico o politico, ma anche nella capacità di creare scenari urbani straordinari, capaci di affascinare e comunicare un’identità forte e riconoscibile.
La nostra Assisi è stata costruita secondo questi criteri.
Chiara è la descrizione che fa l’urbanista Giovanni Astengo nel Piano Regolatore che redasse nel 1957:
Strutturalmente la città due-trecentesca può definirsi come un insieme di piazze piane a differenti quote, collegate tra loro da un sistema multiplo formato da strade orizzontali, strade ascensionali e da ripide scorciatoie, tutte rettangolari e con l’asse maggiore parallelo al monte, si incrociano ad x le strade pianeggianti ad andamento rettilineo e quelle ascensionali che hanno andamento curvo, per aumentare lo sviluppo in lunghezza, e su di esse fanno capo le scalinate tagliate nel senso del maggior pendio. Questo sistema si ritrova non solo nelle piazze maggiori […] ma anche, in forma ridotta, nelle piazzette di transito […].
L’identico sistema strutturale, ripetuto nelle piazze maggiori e minori, conferisce alla città una unità eccezionale che si avverte immediatamente ed istintivamente, anche se a comprenderlo pienamente occorre un non comune sforzo di astrazione e di sintesi, ma al contempo esso l’arricchisce per la grandissima varietà di effetti che si sviluppano dal sistema stesso di incrocio, su ogni piazza, di rette orizzontali, di curve ascensionali e di scalette verticali, che creano una quasi infinita molteplicità di visuali e di possibili percorsi, per cui diventano possibili, per ogni monumento, tutti i punti di vista: frontali, laterali, dal basso e dall’alto.
Questa contemporanea unitarietà e molteplicità strutturale degli spazi pubblici, sommata alle visuali lontane del monte e della pianura, che improvvisamente irrompono a tratti nel paesaggio costruito e riaffermano il sempre presente supporto naturale, forma la grande ricchezza dell’impianto urbanistico di Assisi.
Le parole di Astengo restituiscono con straordinaria lucidità la complessità e la coerenza dell’impianto urbanistico di Assisi, in cui ogni elemento – piazze, strade, scorci – è parte di un disegno unitario, capace di armonizzare funzionalità, bellezza e relazione con il paesaggio. È questo tipo di progettualità — consapevole e armonica — che ha saputo generare spazi capaci di durare nel tempo, di raccontare una civiltà e di offrire ancora oggi qualità all’esperienza urbana.
E oggi? E Noi?
In molti casi, continuiamo a vivere grazie all’eredità degli spazi pubblici del passato. Ma cosa è stato fatto nel frattempo?
Le trasformazioni più recenti non sembrano aver proseguito quel disegno, quella visione d’insieme. Oggi mancano spazi pubblici nuovi e, soprattutto, manca un pensiero che vada oltre il singolo caso: serve immaginare un sistema diffuso, permeabile, continuo — fatto di piazze, parchi, giardini e strade — che tenga insieme il tessuto urbano e quello sociale.
Questa mancanza di progettualità integrata ha reso i nostri spazi pubblici frammentari, spesso poco comunicanti tra loro, e a volte del tutto privi di identità.
Come scrive Sitte: “Nell’urbanistica moderna il rapporto fra superfici edificate e superfici vuote si è letteralmente capovolto. In passato, gli spazi vuoti (strade e piazze) costituivano una totalità in sé conchiusa, e se ne stabiliva la forma in base all’effetto che si intendeva ottenere. Oggi si ritagliano lotti edificabili in forma di figure regolari, e a quel che rimane si dà il nome di strada o piazza”[4].
Insomma, se prima c’era un progetto dello spazio pubblico, guidato da un criterio di regolarità, geometria, bellezza estetica, oggi lo spazio pubblico è “ciò che resta” tra i volumi.
Nei contesti più piccoli, può capitare di perdere di vista l’idea dello spazio pubblico come segno distintivo della nostra civiltà. Spesso viene relegato a un ruolo secondario, percepito più come questione gestionale che come opportunità di espressione collettiva.
Nelle grandi città, al contrario, si osservano con più frequenza investimenti nella rigenerazione dello spazio pubblico, talvolta con ottimi risultati, soprattutto nei contesti centrali.
Nelle periferie, in alcuni casi, si prova a rimediare agli effetti di un’espansione urbana incontrollata, anche attraverso sperimentazioni di “urbanismo tattico”.
Intanto, lungo molte strade si impongono le insegne dei nuovi “templi” del consumo, lasciando in ombra il valore degli spazi condivisi.
Sarebbe importante che il progetto dello spazio pubblico non fosse riservato solo alle grandi città, ma che venisse considerato parte integrante di ogni territorio abitato: un progetto di base, da tenere nel cassetto e tirare fuori ogni volta che si apre uno spiraglio, anche piccolo, per investire sul futuro dei luoghi comuni.
Ripensare le città comporta quindi anche scegliere se restituire bellezza e significato ai luoghi comuni, perché la qualità dello spazio pubblico dice ancora molto su chi siamo e su come vogliamo vivere insieme.
Ci poniamo allora alcune domande fondamentali che riguardano il presente e il futuro della nostra civiltà:
È davvero finita l’era in cui civiltà e spazio pubblico vanno di pari passo?
Che qualità cerchiamo nell’attraversare gli spazi della nostra quotidianità?
Qual è la consistenza della nostra civiltà oggi?
E se la piazza europea è un “monumento”, nel senso di “memento” (luogo del ricordo collettivo)[5], che ricordi resteranno delle città di oggi?
Vogliamo continuare a costruire spazi anonimi e funzionali, o restituire bellezza e significato ai luoghi che abitiamo?
[1] Romano M. (2015), La piazza europea, Venezia, Marsilio.
[2] Marco Cenzatti e Margaret Crawford in Casabella 597-598 (1993), Spazi pubblici e mondi paralleli, Milano, Elemond periodici, p. 34.
[3] Romano M. (2015), La città come opera d’arte, Torino, Giulio Einaudi editore, p.46.
[4] Jacques Dewitte in Casabella 597-598 (1993), Camilllo Sitte e l’agorafilia, Milano, Elemond periodici, p. 29.
[5] Romano M. (2015), La piazza europea, cit.