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INVITO APERTO

2025-02-07 05:51

Anna Falcinelli

Radici, danilo dolci, conversazioni , contadine, cambiamento, nonviolenza, dialogo, invito,

INVITO APERTO

Dobbiamo aprire anche noi questo dialogo oggi. Dobbiamo farlo noi. Dobbiamo farlo ora. Ci sei?

All’inizio degli anni ’50 un uomo di nome Danilo Dolci andava nel “paese più misero che avesse mai visto”, a Trappeto (Palermo), con l’obbiettivo di trovare le strategie per intervenire in questo contesto difficile, con condizioni di vita troppo inaccettabili da restarne indifferenti. Quella parte di Sicilia, infatti, era classificata dalle analisi statistiche della Svimez (Associazione per lo SViluppo dell’Industria del MEZzogiorno) come area la cui unica prospettiva era l’emigrazione.
Dolci dimostrò che, attraverso strategie che un’IA non sarebbe mai in grado di immaginare, un’alternativa era possibile. Noti sono il suo sciopero della fame, gli “scioperi alla rovescia”, le marce pubbliche, i convegni culturali e congressi per discutere la situazione siciliana, la costruzione della diga sullo Jato (si veda in proposito https://danilodolci.org/notizie/diga-jato-52-anni/ ), la scuola di Mirto, il Centro per la piena occupazione, il piano di sviluppo urbanistico per le aree depresse della Sicilia.

 

Tutte queste operazioni partivano però da un presupposto iniziale: la necessità di istruire e educare la popolazione locale più semplice, offrendole la possibilità di divenire consapevole non solo dei propri limiti, ma anche delle proprie risorse, al fine di poter migliorare le proprie condizioni di vita compattando le forze sociali.

 

È per questo che, settimanalmente, la gente povera di Partinico iniziò a partecipare a delle “conversazioni” con Danilo ed i suoi collaboratori. In questa sede veniva messo a tema un interrogativo a sera (“cos’è la vita?”, “cos’è la morte?”, “è giusto andare in guerra, se chiamati?”, “cos’è una donna?”, “cos’è un uomo?”…), domande importanti sulla vita, alcune delle quali non si erano mai posti. Parlando uno dopo l’altro, imparavano ad ascoltarsi reciprocamente, ad accettare il punto di vista del vicino anche quando diverso e, soprattutto, alla fine di ogni riunione, a trovare quali potessero essere i punti comuni a tutti. Questo metodo di “autoanalisi popolare” arrivò ad avere risvolti concreti quando, alla domanda su come vivere bene, emerse l’esigenza di pensare a delle azioni vere e proprie. In questo lavoro, mai Danilo imponeva la sua visione, ma ascoltava e rielaborava, invitando ospiti e amici esterni che portassero punti di vista diversi, ampliando lo sguardo a nuove possibilità. Mettendosi dalla parte di chi più soffriva, trovava proprio in essi quella forza di “cambiare il mondo”.

 

È quanto mai attuale l’esperienza di Dolci, trovandoci noi oggi in una frenetica corsa, senza a volte il tempo di rielaborare quello che accade, senza confrontarci, persa la nostra capacità di ascolto, senza la speranza di un miglioramento. Ma davvero non esiste questa speranza?

 

Le parole dell’intervento di Devi Prasad, amico indiano che partecipò alla conversazione in cui il tema di discussione era la domanda “come cambiare?”, ci forniscono un input attualissimo:

 

È stato bello sentire le opinioni di tanta gente, che ognuno aveva una cosa da dire. Per trovare una soluzione bisogna che tutti ci pensino insieme.
In India molti anni fa avevamo un governo straniero, avevamo un governo inglese. Questa gente che ci governava cercava di renderci sempre più miserabili, sempre più analfabeti, avevano eliminato la cultura tra la gente, avevano insomma preso via tutti i nostri tesori e avevano impoverita la gente anche dentro togliendogli la cultura, rendendola improduttiva. Se guardiamo la storia tradizionale di tutti i paesi, vediamo che per sbarazzarsi di un governo straniero, quello che la gente ha fatto finora è chiamare un'armata, un esercito, e con la forza delle armi si son resi indipendenti. In quei tempi c'erano dei capi tra di noi indiani che pure pensavano in quel senso, che pure pensavano di fare un esercito e di scacciare via gli inglesi così. Qualcuno qui aveva detto poco fa che forse si poteva sperare negli stati stranieri. Così pensavano alcuni dei nostri capi allora: «Andiamo nei paesi stranieri a vedere chi ci impresta le armi, e così cercheremo di sbarazzarci del governo inglese con la forza, con la forza armata soprattutto». Non vi starò a raccontare tutta la storia di come sono avvenuti i fatti, però vi dico la cosa principale che ha reso possibile questi fatti, ed è che è nata una nuova idea in questo periodo nel mondo. In fondo non era un'idea completamente nuova, perché c'erano già stati uomini in passato che l'avevano pensata; c'erano stati degli uomini soprattutto di religione, Gesù Cristo per esempio, o Budda, o altri santi che avevano pensato e agito secondo questa idea, però era nuova per noi per il fatto che fino a quel momento quell'idea mai era stata messa in pratica in un territorio così immenso: in India ci sono quattrocento milioni di persone. Il mezzo, in fin dei conti, è stato il cercare di trovare in ciascuno, in ogni persona la sua forza interna: tutte queste forze interne di ognuno, riunite insieme, fanno una forza enorme, una forza di verità e di nonviolenza.
Però una cosa c'è da mettere bene in chiaro prima di tutto. Noi parliamo di cambiamento, ma che cos'è esattamente questo cambiamento che vogliamo? Questo dobbiamo saperlo con precisione. Noi diciamo: <<<Vogliamo che le cose cambino, vogliamo che questo faccia così, che quello faccia in un altro modo...», però noi stessi, com'è che facciamo? Siamo gli stessi oppure abbiamo già cambiato qualcosa dentro di noi? Perché se noi continuiamo a fare quello che abbiamo sempre fatto, non è che possiamo chiedere agli altri di fare in modo differente. […] 
L'India in quel momento produceva dei tessuti di cotone che erano veramente bellissimi, erano fatti da artigiani, li esportavano in tutto il mondo. Poi sono venuti gli inglesi e hanno rovinato quest'industria; perché? Hanno preso questi tessuti e li hanno portati in Inghilterra, e lì hanno trovato il modo di farli a macchina, mentre noi continuavamo a farli a mano; poi venivano a venderli in India, così è stata una rovina. L'oro invece di entrare in India, usciva dall'India, e in questo modo noi indiani diventavamo ogni giorno più dipendenti dagli inglesi economicamente e politicamente. Come passava il tempo, sempre più poveri diventavamo.
Arrivati a questo punto il nostro capo che si chiamava Gandhi ha avuto quest'idea: <<Ora voi tutti vi mettete a tessere in casa vostra, e così diventiamo completamente indipendenti dagli inglesi. Che ognuno faccia il suo filo, e il suo tessuto». E così infatti è accaduto, che la gente ha incominciato ognuno a farsi la roba in casa sua, e questo non solo per i tessuti, ma anche per altro. Veramente una grande lezione ci è stata data, incominciata coi tessuti si è poi estesa a tutto il resto. Gandhi ci diceva: «Perché siete poveri? Siete poveri perché dipendete dagli altri per ogni cosa della vita. E gli altri chi sono? Sono quelli che riescono a produrre a buon mercato e poi a vendere caro; oppure sono quelli che hanno in mano il potere e vogliono tenervi dipendenti. E noi invece dobbiamo essere indipendenti. Noi dobbiamo essere indipendenti fisicamente, nei tessuti, nelle cose materiali, nelle cose da mangiare, in tutto; e anche spiritualmente indipendenti», cioè con le idee. Però noi finora in India forse abbiamo fatto l'uno per cento di quello che Gandhi avrebbe voluto fare.

 

Dobbiamo aprire anche noi questo dialogo oggi. Dobbiamo farlo noi. Dobbiamo farlo ora. Ci sei?


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